domenica 29 luglio 2012

Pensiero di cima

Pensiero di cima
rarefatto a salire di smania
si sfama in silenzio
la roccia che sboccia arroccata
si slancia tensione di volo
con me nelle nebbie più dense.
Mi farei Icaro dalle ali di cera
per nuotare tra l'azzurro e le spume
spalancare la caverna che ho in seno
rovesciare giù in basso le ansie
e guardarle sfumare
in piroette di fumo.
Ci sono, ma no. Ci sono, ma no.
Sono io che vi ammiro dall'alto
da sopra in giù
e vi lascio cadere
come rivoli in pioggia
quassù
quassù
quassù
attutisce mia fame mio vuoto
non c'è altrove più luogo che mio.

Anna Laura Bobbi

venerdì 27 luglio 2012


Perché una volta che il male di leggere si è impadronito dell’organismo, lo indebolisce tanto da farne facile preda dell’altro flagello, che si annida nel calamaio e che suppura nella penna.
(Virginia Woolf, da Orlando)

Virginia Woolf 
Non c'è segno sul muro per misurare l'altezza precisa delle donne.Non ci sono metri, accuratamente divisi in frazioni di centimetri, per poter misurare le qualità di una buona madre o la devozione di una figlia o la fedeltà di una sorella o l'abilità di una massaia.
Intere ghirlande di parole dovrebbero illegittimamente spiccare il volo verso la nascita, prima che una donna possa dire quel che accade quando entra in una stanza.
Le stanze sono così diverse; sono tranquille o tempestose; aperte sul mare, o al contrario sul cortile di un carcere; c'è il bucato steso, oppure splendono di opali e sete; sono dure come il crine o soffici come le piume...basta entrare in una stanza qualunque di una qualunque strada perché ci salti agli occhi quella forza estremamente complessa della femminilità.
Come potrebbe essere altrimenti? Le donne sono state sedute in queste stanze per milioni di anni, cosicché ormai perfino le pareti sono pervase dalla loro forza creativa, che infatti soverchia talmente la capacità dei mattoni e della malta, che per forza deve attaccarsi alle penne, ai pennelli, agli affari e alla politica. Ma questa forza creativa è molto diversa da quella degli uomini.
E dobbiamo dedurne che sarebbe un gran peccato se venisse ostacolata o sprecata, perché è stata ottenuta con secoli della più drastica disciplina, e non c'è niente che possa sostituirla.
Sarebbe un gran peccato se le donne scrivessero come gli uomini, o vivessero come loro, o assumessero il loro aspetto; perché se due sessi non bastano, considerando la vastità e la varietà del mondo, come potremmo cavarcela con uno solo? L'educazione non dovrebbe forse sottolineare e accentuare le differenze, invece delle somiglianze? Perché di somiglianze ce ne sono anche troppe

Differenza e identità



Ci siamo a lungo interrogate sul motivo che ci ha spinto a pensare e raccontare la differenza e l’identità femminile. E non abbiamo trovato altre risposte se non questa, la più semplice eppure la più autentica: il tema della differenza si è imposto naturalmente, in quanto tema che ci appassiona proprio perché ci riguarda. “Pensare la differenza” parla di noi.
  Differenza e identità
Ci siamo a lungo interrogate sul motivo che ci ha spinto a pensare e raccontare la differenza e l’identità femminile. E non abbiamo trovato altre risposte se non questa, la più semplice eppure la più autentica: il tema della differenza si è imposto naturalmente, in quanto tema che ci appassiona proprio perché ci riguarda. “Pensare la differenza” parla di noi.
            Raccontare eccede la realtà, ridisegnandone sempre nuovi e inattesi significati, anche se forse non esaurisce il compito di far essere attraverso le parole: non riesce fino in fondo a dar conto di luoghi, presenze, colori, pensieri, incontri….!
            L’intero progetto può essere così riletto come preziosa tessitura di dialoghi e relazioni.
            E questo scambio non dovrebbe interrompersi mai, come testimonianza, desiderio di continuare, negli anni, l’esperienza avviata oggi.
            Mi pesa essere una donna: una donna ha pronunciato questa frase. “Mi pesa essere una donna” sarà la traccia di un’ultima opacità o di un residuo anacronismo, ma segna in ogni caso una asimmetria, un modo duplice di stare al mondo, di sentirsi pienamente partecipi di esso e insieme straniere.
            Essere donna è un fatto, nel senso in cui Hannah Arendt nominava la nudità e irrevocabilità di ciò che è, di ciò che accade e che non è in potere dell’agire umano di cambiare. La nascita è per Hannah Arendt il prototipo della nudità di ciò che è, in quanto incarna l’accadere nel suo aspetto di miracolo, di irruzione del nuovo, dell’imprevisto nella regolarità dei processi naturali e insieme attesta la durata, la persistenza e preesistenza di un mondo senza la cui accoglienza e ospitalità ogni novità sarebbe scaraventata nel vuoto e destinata a naufragare. E’ un dato di fatto nudo e irrevocabile che nascano uomini e donne e che non l’Uomo, ma uomini e donne abitino la Terra in una dimensione originaria di pluralità e di essere insieme. Ma nel momento in cui quel nudo dato di fatto accade nella sua qualità di evento unico e irripetibile – “sono una donna, è accaduto qualcosa” .
Gloria


Spunti di riflessione
    E’ un dato di fatto nudo e irrevocabile che nascano uomini e donne e che non l’Uomo, ma uomini e donne abitino la Terra in una dimensione originaria di pluralità e di essere insieme." Oggi del resto non si tratta più di rivendicare parità ma di essere in grado di attuare il superamento del paradigma soggetto-oggetto e di riconoscere l’elemento dinamico del femminile, inteso come non coincidenza fra sé e sé. Si tratterebbe di una sorta di femminismo della differenza, il considerare l’altro “termine” in una relazione di scambio e di transizione reciproci ci ha rese davvero libere.
    Deborah

Marcia Teophilo

In principio non c'era la notte. Non si conosceva
la notte. C'era soltanto la luce ed era
così intensa, ai tropici pareva di andare
per ere di azzurro, di vermiglio, di verde.
Era così forte la luce che pareva di fluttuare
nei colori
nelle piante.
Quel che non aveva parola si parlava
si parlavano gli alberi e pensavano coi fiori.
Nessuno conosceva il nero
soltanto esistevano i colori
che emanavano luce, che distribuivano energia-pensiero
Ma non si dormiva
l'uomo non conosceva stanchezza
ma non sapeva la dolcezza del riposo
il silenzio e la musica
perché la musica nacque con la conoscenza dei primi ritmi
e con la notte nacque il primo canto.
Márcia Theóphilo - 1979




Un film di Maria Korporal su una poesia di Marcia Teophilo

La mia poesia nasce dal mio legame profondo con la foresta. Attraverso la mia poesia ho creato una vera mitologia dell’Amazzonia, dei fiumi, degli alberi, degli animali. L’Amazzonia è prima di tutto una cultura di rispetto e di difesa del pianeta, è anche una metafora del rapporto strettissimo che esiste tra uomo e natura: noi siamo parte di questo ecosistema.
Marcia Theophilo



Spunti di riflessione

C'è molto da imparare da questa donna, da donne così, il suo stretto legame con la terra, quell'identificarsi con la natura, che è vita e dà vita.
La sua Amazzonia parla, urla tutta la sua sofferenza, la fragilità del suo equilibrio minacciato dalla desertificazione e dallo sfruttamento ma non tutti gli uomini sono sensibili al richiamo della natura.
E in tutto questo la poesia occupa un ruolo dominante: è il nostro canto libero, fatto di lacrime e di gioia che dà voce a quel complesso meccanismo di equilibri ed evoluzioni vitali che chiamiamo natura.
Deborah Mega



Marcia mi ha preso, catturato coi suoi versi e con la sua fascinazione 'sciamanica'.

Ho scritto questo, dopo averla ascoltata,


Un incontro particolare
Tra gli appunti di Gloria


Vicino Roma, In una Libreria molto suggestiva, dove si presentano opere d’arte e di poesia, ho incontrato
una donna di grande forza e nergia, Marcia Theophilo, candidata al premio Nobel. Già avevo letto qualche sua poesia, che mi aveva colpito profondamente per il suo profondo legame con la sua terra ,proprio all’interno della foresta amazzonica.
La cittadina è Morlupo,in cui è avvenuto questo straordinario incontro, abitata da una popolazione italica affine agli etruschi, con successivi palazzi del 400 e del 600.
Guardo affascinata il bel video di Maria Korporal ispirata a una  poesiadi Marcia, e mi vengono in mente certi suoi versi che mi hanno colpita profondamente:
Noi alberi viviamo di piogge
Di rugiade eterne e delle brume
Dei fiumi e degli oceani
Di mattutini e nebbie delicate.
Durante il giorno il calore
Dei raggi del sole
Dilata i nostri corpi sublunari
Che assorbono così ,nel profondo
La soavisima rugiada notturna.
Mi sento profondamente in sintonia con la poeta-antropologa, ascolto a fondo, mentre legge, con la sua voce profonda e intensa , versi in cui si avverte il legame con la terra, con gli alberi, con gli animali, che in certi momenti diviene una forma di identificazione , che ci comunica un senso di libertà, ci fa sentire l’anima della natura , che è totale, assoluta, una.
Marcia ci spiega che sente la vita del mondo in una lingua india diversa da tutte le altre lingue, che lei è in grado di decifrare come alita l’anima della foresta. Dentro la foresta il suo cuore batte, e nel cuore vive il respiro , la musica delle acque della foresta. E così io comprendo: noi siamo alberi,senza i quali il genere umano si estinguerebbe. Perciò Marcia canta un’anima che sta dissolvendo, canto di rumori vitali, di un l sogno, di un ritorno a un mondo pulito, il disegno magico,misterico della foresta, che è vita e dà vita a tutto il pianeta, a tutti gli uomini.
Non solo l’amazzonia è il verde del pianeta, il suo respiro, ma è anche l’acqua del pianeta .
 E continua:- Ho imparato la lingua della foresta nella speranza che altri uomini sensibili possano capire l’equilibrio del mondo che non si può disfare, per gli stupidi conforts di pochi.
 La poesia è l’unico strumento libero che mi può permettere di di colpire il cuore e la mente degli uomini_
Mentre lei, che si lascia così amare da noi , parla, noi capiamo che la poesia è questo, esperessione libera, canto dei popoli, e delle persone che sentono che è espressione non di spettacolo, ma canto libero
Quando ci siamo incontrate nella hall dell’albergo, le chiedo come mai si identificasse con la foresta amazzonica, e lei dice che è colpita e sente profondamente che l’Amazzonia è il mondo e lei è la voce del mondo in sofferenza, che la foresta è un organismo complesso che respira, parla, si lamenta e aggredisce per difendersi.
Le chiedo:-_Marcia, nei suoi versi parla dei bambini leopardo che imitano anche molti animali. I loro giochi sono proprio questi?
E penso ai bambini del Primo mondo che non riescono a divertirsi con tutti i giocattoli che compriamo.
Ma lei chiarisce,:_i bambini dell’Amazzonia hanno giochi diversi si identificano con gli animali e giocano liberamente. E so che sanno imitare i loro lungi e vertiginosi salti,e che partecipano di un mondo che conoscono.
Invece i bambini del mondo di cemento sono imprigionati nei loro quartieri, nella mancanza di tutto ciò che è legato alla vita, al movimento .
Urutau è un simbolo sciamanico, una figura fantastica che si identifica con l’uccello, che sa di dover vivere nel cemento, ed è infelice.. emette il suo lamento, lasua preghiera per mon finire lontano da un humus che no vuole perdere , ricordando il mondo magico, pieno di voci della foresta.
La mia poesia non è altro che il canto dell’Amazzonia-continua Marcia-, che vuole vivere e congiungersi con l’anima della foresta
Non c’è altro da dire, le sue parole mi avvincono profondamente. Mi hanno spiegato tutto. E io sento che la poesia non è altro che il canto libero del mare, della terra , dell’essere noi insieme.
E’ quella voce che vuole ristabilire l’equilibrio nel mondo, donare un futuro a tutti, che è pianto e gioia e
rispetto della vita di tutti. E’ dolore e gioia ,voce unica del cosmo.

Questo mi ha insegnato Marcia.
, che è vita e dà vita.
La sua Amazzonia parla, urla tutta la sua sofferenza, la fragilità del suo equilibrio minacciato dalla deC'è molto da imparare da questa donna, da donne così, il suo stretto legame con la terra, quell'identificarsi con la natura, che è vita e dà vita.
La sua Amazzonia parla, urla tutta la sua sofferenza, la fragilità del suo equilibrio minacciato dalla desertificazione e dallo sfruttamento ma non tutti gli uomini sono sensibili al richiamo della natura.
E in tutto questo la poesia occupa un ruolo dominante: è il nostro canto libero, fatto di lacrime e di gioia che dà voce a quel complesso meccanismo di equilibri ed evoluzioni vitali che chiamiamo natura.





raccontarsi



I fogli bianchi sono la dismisura dell'anima,
e io in questo sapore agrodolce

vorrò un giorno morire,perché il foglio bianco è violento.
Violento come una bandiera,
una voragine di fuoco,
e così io mi compongo
lettera su lettera all’infinito
affinchè uno mi legga
ma nessuno impari nulla
perché la vita è sorso,
e sorso di vita i fogli bianchi
dismisura dell’anima
(Alda Merini)
Cercavo un incipit per parlare di autobiografia, qualcosa che toccasse il cuore delle persone e le incuriosisse in modo da arrivare in fondo all’articolo e “per caso” mi è capitato tra le mani un romanzo “Treno di notte per Lisbona” di Pascal Mercier e tra le pagine di questo libro un brano che ha colpito tutti i miei sensi, intenerito la mia anima e dato forse un senso a quello che leggerete dopo.....
delle mille esperienze che facciamo, riusciamo a tradurne in parole al massimo una e anche questa solo per caso e senza l’accuratezza che meriterebbe. Fra tutte le esperienze mute si celano quelle che, a nostra insaputa, conferiscono alla nostra vita la sua forma, il suo colore, la sua melodia. Allorchè ci volgiamo, quali archeologi dell’anima, a questi tesori scopriamo quanto sconcertanti essi siano. L’oggetto che prendiamo in esame si rifiuta di stare fermo, le parole scivolano via dal vissuto e alla fine sulla carta rimangono pure affermazioni contraddittorie. Per lungo tempo ho creduto che questa fosse una mancanza, una pecca, qualcosa che si dovesse superare. Oggi penso che le cose stiano diversamente: che il riconoscimento dello sconcerto sia la via regia per giungere alla comprensione di quelle esperienze tanto familiari quanto enigmatiche. Tutto ciò può suonare strano, anzi singolare, lo so. Ma da quando vedo la faccenda in questo modo, ho la sensazione di essere per la prima volta davvero vigile e vivo.....”
C’è un momento nel corso della nostra vita, come dice Duccio Demetrio ,in cui si sente il bisogno di raccontarsi in modo diverso dal solito. “Capita a tutti, prima o poi .... da quando forse, la scrittura si è assunta il compito di raccontare in prima persona quanto si è vissuto e di resistere all’oblio della memoria....” (D.Demetrio – “Raccontarsi” p.1).
Raccontare di sé, della propria vita, dei propri ricordi, dei successi e delle sconfitte, dei sentimenti, delle paure, degli amici e degli amori,…l'autobiografia è uno sforzo di attenzione/cura di sé che collega parti differenti della nostra vita fornendo un repertorio di modi di essere di sé nel tempo e nello spazio ed un senso del proprio posto nel mondo, secondo una prospettiva di continua costruzione e ri-costruzione della propria immagine identitaria.
E', dunque, da un lato, organizzazione e formalizzazione dell'identità vissuta, dall'altro raccolta e organizzazione di elementi costitutivi l'immagine di sé capaci di essere strumenti per scoprire la personale chance evolutiva che ognuno di noi possiede quella “tendenza attualizzante”, coniata da Rogers in base al quale ogni individuo ha in sé la capacità di realizzare le proprie potenzialità . La rivisitazione della propria vita è così sempre un invito e quasi una necessità di ricominciare a vivere e a cercare, abilitandosi a vivere il tempo futuro, consapevole che ogni abilitazione non è mai l'ultima e che ogni abilità maturata nasconde sempre un'altra faccia di sé che è quella del non-ancora-realizzato.
Scrivere di sè è un modo di attribuire un significato alle esperienze passate per poter costruire il proprio futuro;  può aiutarci a ripensare a chi siamo e alla nostra storia; ci obbliga a fermarci un attimo e a capire dove siamo.
Narrare di Sé riattualizzando il passato sollecita nelle persone il recupero di “ quelle tracce di senso” esistenziali, spirituali, relazionali, cognitive, affettive presenti lungo il continuum esperienziale della personale storia di vita e, spesso, sommerse, e in-comprese dalla tumultuosità di quello che ci accade, unite spesso, dalla superficialità e automaticità che accompagnano le azioni della vita quotidiana. Azioni vissute frequentemente come disunite e apparentemente prive di connessioni, per le molteplici interferenze e imprevisti che accrescono il disagio, il disorientamento e ci costringono reattivamente a patteggiare, ad operare scelte, non senza sofferenza e frustrazioni, in un continuo costruire e ri-costruire contesti di vita.
Parlando di sé ci si consente inoltre di sentirsi autore, protagonista e regista di quello che si sta scrivendo. Questo sentirsi personaggio principale ci ricompensa di tutto quel tempo in cui la vita ci ha “obbligato” ad essere comparse, spettatori a volte muti di tutto quanto si è fatto.
Lo spazio autobiografico è il tempo della “tregua”, una “base sicura” nata da noi stessi per noi stessi, in cui pressante diventa il rintracciare i molti ruoli, le molte parti recitate non per colpevolizzarci, bensì per attendere alla “sutura”, alla ri-composizione di tutti i frammenti.
Ri-tessendo le trame della nostra esistenza, alla moviola di uno spazio-tempo  per sé, si genera, altresì, quel momento essenziale di distanza emotiva da se stessi mentre si rivive se stessi, necessario per guardarsi sulla scena cercando di individuare ruoli, battute, esibizioni superflue o viceversa cruciali.
Fare autobiografia è un darsi pace, pur affrontando il dolore del ricordo: scrivendone, infatti, si allevia la sofferenza e se ne rielabora il senso.
E’ trovare una stanza tutta nostra in cui far emergere dallo sfondo indistinto cose ,fatti, sensazioni, figure.
E’ un guardarsi dall’alto osservandoci “come un paesaggio affatto ordinato dove, in quanto autori, stabiliamo simmetrie e asimmetrie, zone oscure o chiarificate, picchi o pianure, vie maestre e sentieri.... non sempre le figure emergono evidenti. E’ però un tentativo della mente di ritrovare un punto, un’ansa ..... al quale ancorarsi. Almeno per qualche istante, tra giochi della memoria e riflessioni sul senso degli accadimenti...” (D.Demetrio “Raccontarsi” pag.34).
Raccontare la propria storia, cercando di portare alla luce dalla penombra dell’oblio le immagini più lontane che si credevano perdute ma che invece sono ancora lì tra le pieghe della nostra memoria, è un atto di solidarietà e amore verso se stessi, è un voler prendersi per mano entrando in contatto in modo autentico con il nostro mondo emozionale iniziando un viaggio verso la parte più profonda di noi stessi portandola alla luce in tutta la sua ricchezza e le sue sfaccettature.

Da tutto ciò possiamo delineare i benefici della pratica autobiografica in un percorso di Arteterapia.
Raccontare la nostra storia, scriverla, buttarla fuori, è già di per se stesso un atto liberatorio. Non può cancellare il dolore o la sofferenza, ma può essere almeno un modo per prenderne le distanze, per mettere un punto. Questo è uno dei motivi più profondi (e per questo curativi) dell’autobiografia. Scrivere di sé è qualcosa che aiuta a stare bene, o meglio.
Prendendosi del tempo per sé, vuol dire aver cura di noi, in sintesi: volerci più bene. Inoltre l’ascolto di noi stessi ci aiuta anche ad aumentare la nostra capacità di ascolto verso gli altri.
Ritornare con la mente ad eventi ed emozioni passate ci fa capire il motivo di scelte che forse oggi non faremmo più ma in quel momento rappresentavano l’unico modo possibile e questo ci aiuta a perdonarci, ad alleviare quei sensi di colpa che spesso avvelenano la nostra vita.
Andare alla scoperta di pezzi lontani della nostra storia vuol  dire anche riannodare fili che credevamo persi , trovando il coraggio di elaborare eventi che sembravano compiuti , giungendo a spiegazioni fino a quel momento rimaste nascoste, aprendosi così spazi di progettualità e cambiamento e permettendoci di intravedere ciò che è possibile fare ancora.
Andare alla ricerca dei ricordi, serve anche a ricercare la bellezza di tanti momenti che abbiamo dimenticato . Gli esercizi della memoria, ci aiutano a tirarli fuori, e così ..... a sorridere di più.
Scrivere di sé e condividere la nostra esperienza con altri, significa offrire ad altri la possibilità di conoscerci così come noi ci percepiamo riscoprendo il nostro valore , arricchendo la nostra immagine e di conseguenza aumentando la nostra autostima. Ci permette inoltre di trovare cose comuni e punti di contatto sentendosi così vicini e sviluppando sentimenti di unione. Crea comunicazione.
Narrare di sé, aiuta ad acquisire sicurezza. Ad operare delle scelte ascoltando le nostre intuizioni più profonde, superando la paura del  giudizio degli altri.
E da ultimo l’aspetto più importante è sentire che si è vissuto e che si sta ancora vivendo.
Gloria Gaetano

Spunti di riflessione

L'immaginazione , la creatività servono a ricomporre il filo di senso e l'immagine profonde di noi.
Indubbiamente la visione creativa nasce sempre da esperienze negative spesso traumatiche , ma come dice Jung ,”l'angoscia aspira alla cultura” e la cultura con lo scavo della memoria, con l'arte, con la scrittura può creare le condizioni necessarie per ricomporre “ frammenti” e trovare un varco nel tunnel delle vicende sconnesse che sfaldano la nostra interiorità.


M.Allo