e io in
questo sapore agrodolce
vorrò
un giorno morire,perché il foglio bianco è violento.
Violento
come una bandiera,
una
voragine di fuoco,
e così
io mi compongo
lettera
su lettera all’infinito
affinchè
uno mi legga
ma
nessuno impari nulla
perché
la vita è sorso,
e sorso
di vita i fogli bianchi
dismisura
dell’anima
(Alda
Merini)
Cercavo
un incipit per parlare di autobiografia, qualcosa che toccasse il
cuore delle persone e le incuriosisse in modo da arrivare in fondo
all’articolo e “per caso” mi è capitato tra le mani un
romanzo “Treno di notte per Lisbona” di Pascal Mercier e tra le
pagine di questo libro un brano che ha colpito tutti i miei sensi,
intenerito la mia anima e dato forse un senso a quello che leggerete
dopo.....
“delle
mille esperienze che facciamo, riusciamo a tradurne in parole al
massimo una e anche questa solo per caso e senza l’accuratezza che
meriterebbe. Fra tutte le esperienze mute si celano quelle che, a
nostra insaputa, conferiscono alla nostra vita la sua forma, il suo
colore, la sua melodia. Allorchè ci volgiamo, quali
archeologi dell’anima, a questi tesori scopriamo quanto
sconcertanti essi siano. L’oggetto che prendiamo in esame si
rifiuta di stare fermo, le parole scivolano via dal vissuto e alla
fine sulla carta rimangono pure affermazioni contraddittorie. Per
lungo tempo ho creduto che questa fosse una mancanza, una pecca,
qualcosa che si dovesse superare. Oggi penso che le cose stiano
diversamente: che il riconoscimento dello sconcerto sia la via regia
per giungere alla comprensione di quelle esperienze tanto familiari
quanto enigmatiche. Tutto ciò può suonare strano, anzi
singolare, lo so. Ma da quando vedo la faccenda in questo modo, ho
la sensazione di essere per la prima volta davvero vigile e
vivo.....”
“C’è
un momento nel corso della nostra vita, come dice Duccio Demetrio
,in cui si sente il bisogno di raccontarsi in modo diverso dal
solito. “Capita a tutti, prima o poi .... da quando forse, la
scrittura si è assunta il compito di raccontare in prima
persona quanto si è vissuto e di resistere all’oblio della
memoria....” (D.Demetrio – “Raccontarsi” p.1).
Raccontare
di sé, della propria vita, dei propri ricordi, dei successi e
delle sconfitte, dei sentimenti, delle paure, degli amici e degli
amori,…l'autobiografia è uno sforzo di attenzione/cura di
sé che collega parti differenti della nostra vita fornendo un
repertorio di modi di essere di sé nel tempo e nello spazio
ed un senso del proprio posto nel mondo, secondo una prospettiva di
continua costruzione e ri-costruzione della propria immagine
identitaria.
E',
dunque, da un lato, organizzazione e formalizzazione dell'identità
vissuta, dall'altro raccolta e organizzazione di elementi
costitutivi l'immagine di sé capaci di essere strumenti per
scoprire la personale chance evolutiva che ognuno di noi possiede
quella “tendenza attualizzante”, coniata da Rogers in base al
quale ogni individuo ha in sé la capacità di
realizzare le proprie potenzialità . La rivisitazione della
propria vita è così sempre un invito e quasi una
necessità di ricominciare a vivere e a cercare, abilitandosi
a vivere il tempo futuro, consapevole che ogni abilitazione non è
mai l'ultima e che ogni abilità maturata nasconde sempre
un'altra faccia di sé che è quella del
non-ancora-realizzato.
Scrivere
di sè è un modo di attribuire un significato alle
esperienze passate per poter costruire il proprio futuro; può
aiutarci a ripensare a chi siamo e alla nostra storia; ci obbliga a
fermarci un attimo e a capire dove siamo.
Narrare
di Sé riattualizzando il passato sollecita nelle persone il
recupero di “ quelle tracce di senso” esistenziali, spirituali,
relazionali, cognitive, affettive presenti lungo il continuum
esperienziale della personale storia di vita e, spesso, sommerse, e
in-comprese dalla tumultuosità di quello che ci accade, unite
spesso, dalla superficialità e automaticità che
accompagnano le azioni della vita quotidiana. Azioni vissute
frequentemente come disunite e apparentemente prive di connessioni,
per le molteplici interferenze e imprevisti che accrescono il
disagio, il disorientamento e ci costringono reattivamente a
patteggiare, ad operare scelte, non senza sofferenza e frustrazioni,
in un continuo costruire e ri-costruire contesti di vita.
Parlando
di sé ci si consente inoltre di sentirsi autore, protagonista
e regista di quello che si sta scrivendo. Questo sentirsi
personaggio principale ci ricompensa di tutto quel tempo in cui la
vita ci ha “obbligato” ad essere comparse, spettatori a volte
muti di tutto quanto si è fatto.
Lo
spazio autobiografico è il tempo della “tregua”, una
“base sicura” nata da noi stessi per noi stessi, in cui
pressante diventa il rintracciare i molti ruoli, le molte parti
recitate non per colpevolizzarci, bensì per attendere alla
“sutura”, alla ri-composizione di tutti i frammenti.
Ri-tessendo
le trame della nostra esistenza, alla moviola di uno spazio-tempo
per sé, si genera, altresì, quel momento essenziale di
distanza emotiva da se stessi mentre si rivive se stessi, necessario
per guardarsi sulla scena cercando di individuare ruoli, battute,
esibizioni superflue o viceversa cruciali.
Fare
autobiografia è un darsi pace, pur affrontando il dolore del
ricordo: scrivendone, infatti, si allevia la sofferenza e se ne
rielabora il senso.
E’
trovare una stanza tutta nostra in cui far emergere dallo sfondo
indistinto cose ,fatti, sensazioni, figure.
E’ un
guardarsi dall’alto osservandoci “come un paesaggio affatto
ordinato dove, in quanto autori, stabiliamo simmetrie e asimmetrie,
zone oscure o chiarificate, picchi o pianure, vie maestre e
sentieri.... non sempre le figure emergono evidenti. E’ però
un tentativo della mente di ritrovare un punto, un’ansa ..... al
quale ancorarsi. Almeno per qualche istante, tra giochi della
memoria e riflessioni sul senso degli accadimenti...” (D.Demetrio
“Raccontarsi” pag.34).
Raccontare
la propria storia, cercando di portare alla luce dalla penombra
dell’oblio le immagini più lontane che si credevano perdute
ma che invece sono ancora lì tra le pieghe della nostra
memoria, è un atto di solidarietà e amore verso se
stessi, è un voler prendersi per mano entrando in contatto in
modo autentico con il nostro mondo emozionale iniziando un viaggio
verso la parte più profonda di noi stessi portandola alla
luce in tutta la sua ricchezza e le sue sfaccettature.
Da
tutto ciò possiamo delineare i benefici della pratica
autobiografica in un percorso di Arteterapia.
Raccontare
la nostra storia, scriverla, buttarla fuori, è già di
per se stesso un atto liberatorio. Non può cancellare il
dolore o la sofferenza, ma può essere almeno un modo per
prenderne le distanze, per mettere un punto. Questo è uno dei
motivi più profondi (e per questo curativi)
dell’autobiografia. Scrivere di sé è qualcosa che
aiuta a stare bene, o meglio.
Prendendosi
del tempo per sé, vuol dire aver cura di noi, in sintesi:
volerci più bene. Inoltre l’ascolto di noi stessi ci aiuta
anche ad aumentare la nostra capacità di ascolto verso gli
altri.
Ritornare
con la mente ad eventi ed emozioni passate ci fa capire il motivo di
scelte che forse oggi non faremmo più ma in quel momento
rappresentavano l’unico modo possibile e questo ci aiuta a
perdonarci, ad alleviare quei sensi di colpa che spesso avvelenano
la nostra vita.
Andare
alla scoperta di pezzi lontani della nostra storia vuol dire
anche riannodare fili che credevamo persi , trovando il coraggio di
elaborare eventi che sembravano compiuti , giungendo a spiegazioni
fino a quel momento rimaste nascoste, aprendosi così spazi di
progettualità e cambiamento e permettendoci di intravedere
ciò che è possibile fare ancora.
Andare
alla ricerca dei ricordi, serve anche a ricercare la bellezza di
tanti momenti che abbiamo dimenticato . Gli esercizi della memoria,
ci aiutano a tirarli fuori, e così ..... a sorridere di più.
Scrivere
di sé e condividere la nostra esperienza con altri, significa
offrire ad altri la possibilità di conoscerci così
come noi ci percepiamo riscoprendo il nostro valore , arricchendo la
nostra immagine e di conseguenza aumentando la nostra autostima. Ci
permette inoltre di trovare cose comuni e punti di contatto
sentendosi così vicini e sviluppando sentimenti di unione.
Crea comunicazione.
Narrare
di sé, aiuta ad acquisire sicurezza. Ad operare delle scelte
ascoltando le nostre intuizioni più profonde, superando la
paura del giudizio degli altri.
E da
ultimo l’aspetto più importante è sentire che si è
vissuto e che si sta ancora vivendo.
Gloria Gaetano