Bisogna guardarsi a lungo nello
specchio, a lungo e ripetutamente, prima di conoscere il proprio vero
volto
Sandor Marai
La crisi dell'Occidente non è
solo economica, ma anche psicologica. Questo l'aveva intuito per
primo un giovane psicanalista svizzero, allievo di Freud, Carl Gustav
Jung. Studiando i sogni e le nevrosi il giovane Jung comprese come
questi fossero i fattori di una crisi umana senza precedenti. Il suo
contributo teorico non si limitò solo alla psicanalisi, ma
anche allo studio delle religioni e dell'esoterismo per rintracciare
la radice della decadenza moderna. Il razionalismo radicale aveva
reso sterile l'uomo in ogni suo aspetto. La mancanza di una vita
spirituale lo portò ad allontanarsi da quella natura che per
millennio era stato motivo di vita. Ancora oggi il suo contributo
viene riconosciuto con i tutti i meriti scientifici.
PRENDIMI L'ANIMA
film autobiografico in cui è narrata la profonda e tormentata storia d'amore fra lo psichiatra Carl Gustav Jung ed una sua paziente, l'ebrea russa Sabina Spielrein, poi diventata a sua volta celebre psicoanalista.
film autobiografico in cui è narrata la profonda e tormentata storia d'amore fra lo psichiatra Carl Gustav Jung ed una sua paziente, l'ebrea russa Sabina Spielrein, poi diventata a sua volta celebre psicoanalista.
" Io cerco la persona che sia
capace di amare l’altro senza per questo punirlo,senza renderlo
prigioniero o dissanguarlo;
cerco questa persona del futuro che
sappia realizzare un amore indipendente da vantaggi o svantaggi
sociali,
affinchè l’amore sia sempre
fine a se stesso e non solo il mezzo in vista di uno scopo "
Tratto da un'appassionata lettera di
C.G.Jung a Sabrina Spielrein,la sua amante.
SABINA SPIELREIN
Sabina Spielrein, fragile donna che nel 1904 fu ricoverata - a soli vent'anni - in una clinica nei pressi di Zurigo in quanto gravemente malata di isteria. Probabilmente in quanto maltrattata dal padre.
Qui la accoglierà amorevolmente uno Jung alle prime armi, dedito a sperimentare per la prima volta i metodi di Freud.
Metodi diametralmente opposti rispetto a quelli coercitivi in voga all'epoca fatti di docce fredde e camicie di forza.
Il metodo freudiano - che sarà poi alla base di quello junghiano - si fonderà infatti sul dialogo franco ed aperto fra paziente e medico e sulla libera associazione delle parole (mai come in questo film sono stati messi in evidenza, sul grande schermo, i rudimenti di tale metodo).
Sarà proprio la fiducia della Spielrein nei confronti di Jung a garantirle la piena guarigione. Una guarigione - raffigurata - nel film di Faenza, dalla bellissima scena della Spielrein (interpretata da una magistrale Emilia Fox) che canta e suona "Tumbalalaika", canzone d'amore russa della tradizione ebraica, accompagnata dai sorrisi e dagli applausi di tutti i malati psichici della clinica. E da uno Jung che si farà coinvolgere nella danza, con l'evidente disapprovazione di tutti gli altri psichiatri, che già allora lo consideravano un tipo bizzarro.
"Non ci può essere cura senza amore", afferma Jung nel film stesso, che ricorda una delle sue celebri massime: "Dove l'amore impera, non c'è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l'amore. L'uno è l'ombra dell'altro".
Sarà così che, dopo la guarigione, Jung continuerà a frequentare la donna, incoraggiata da lui stesso ad intraprendere studi in medicina. E sarà così che i due si innamoreranno perdutamente l'uno dell'altra in un'unione perfetta e simbiotica, erotica e passionale.
Jung donerà alla Spielrein, dunque, una pietra, rammentandole che gli uomini primitivi erano soliti credere che l'anima umana fosse contenuta in essa. Egli l'aveva così allegoricamente resa "custode della sua anima".
Carl Gustav Jung è purtuttavia sempre un uomo sposato e si vedrà costretto ad interrompere bruscamente il rapporto con la Spielrein, che nel frattempo si laureerà e sposerà successivamente il medico russo Pavel Scheftel che le darà due bambine.
E' così che la Spielrein tornerà nella sua Russia, a Mosca, ove fonderà un asilo per bambini: l'Asilo Bianco.
Jung, comunque, non la dimenticherà al punto che continuerà a sognarla e saranno proprio i suoi sogni premonitori (ricordiamo che lui stesso si occuperà in diverse occasioni della sua vita di questo particolare fenomeno della psiche, così come dei cosiddetti "fenomeni occulti" di cui si era già occupato nella sua tesi di laurea) a segnalargli i momenti di pericolo corsi dalla donna. Che saranno purtroppo molti.
Nell'Asilo Bianco la Spielrein avrà modo di sperimentare nuovi metodi educativi improntati allo sviluppo della creatività e della massima libertà dei bambini, insegnando loro anche primi rudimenti di educazione sessuale.
E' davvero commovente la scena in cui la Spielrein riesce a far sorridere un bambino chiuso in sé stesso e profondamente triste, distraendolo con un simpatico scimpanzè. Quel bambino è Ivan Ionov, tutt'ora vivente ed ultra ottantenne che non dimenticherà mai quanto fatto dalla psicoterapeuta per lui.
A Mosca, Sabina, aderirà anche al nascente bolscevismo, ma dovrà presto ricredersi nel momento in cui la repressione stalinista le imporrà con la forza di chiudere l'Asilo e metterà all'indice i suoi metodi educativi, considerati contrari alla morale comunista.
E' così che, morto il marito nelle cosiddette "purghe staliniane", la donna tornerà nella sua natia Rostov per tentare di fondare un asilo clandestino, ma i nazisti che stavano avanzando in Unione Sovietica la prenderanno e la trucidetanno assieme alle figlie ed a centinaia di altri ebrei in una sinagoga.(TRATTO DA /index.php/archivio-mainmenu-44/593-persone-e-personaggi-sabina-spielrein-psicoanalista.html)
Manifesto della donna futurista scritto
dalla mitica Valentine de Saint-Point agli inizi del ’900.
È assurdo dividere l’umanità in donne e uomini. Essa è composta solo di femminilità e di mascolinità. Ogni superuomo, ogni eroe, per quanto epico, ogni genio, per quanto potente, è prodigiosa espressione della sua razza e della sua epoca solo perché è composto a un tempo di elementi femminili e di elementi maschili, di femminilità e di mascolinità: ossia perché è un essere completo.
Un individuo esclusivamente virile non è che un bruto; un individuo esclusivamente femminile non è che una femmina.
Per le collettività, e per i diversi momenti della storia umana, vale ciò che vale per gli individui.
I periodi fecondi in cui, dal brodo di coltura in ebollizione, scaturiscono più eroi e più geni, sono periodi ricchi di mascolinità e femminilità.
[... ... ...]
Ciò che più manca alle
donne, come agli uomini, è la virilità. Ecco perché
il futurismo, pur con tutte le sue esagerazioni, ha ragione.
Per restituire una qualche virilità
alle nostre razze infiacchite nella femminilità, bisogna
educarle a una virilità spinta fino alla brutalità. Ma
bisogna imporre a tutti, uomini e donne, ugualmente deboli, un nuovo
dogma di energia, per giungere a un’era di superiore umanità.
Ogni donna deve possedere non solo virtù femminili, ma qualità virili, senza le quali non è una femmina. L’uomo che possiede solo la forza maschia, senza l’intuizione, è un bruto. Ma nella fase di femminilità in cui viviamo, soltanto l’eccesso contrario è salutare: è il bruto che va proposto a modello.
Ogni donna deve possedere non solo virtù femminili, ma qualità virili, senza le quali non è una femmina. L’uomo che possiede solo la forza maschia, senza l’intuizione, è un bruto. Ma nella fase di femminilità in cui viviamo, soltanto l’eccesso contrario è salutare: è il bruto che va proposto a modello.
Basta le donne di cui i soldati devono
temere “le braccia come fiori intrecciati sulle ginocchia la
mattina della partenza”; basta con le donne-infermiere che
prolungano all’infinito la debolezza e la vecchiezza, che
addomesticano gli uomini per i loro piaceri personali o i loro
bisogni materiali!… Basta con la donna piovra del focolare, i cui
tentacoli dissanguano gli uomini e anemizzano i bambini; basta con le
donne bestialmente innamorate, che svuotano il Desiderio fin della
forza di rinnovarsi!
Le donne sono le Erinni, le Amazzoni;
le Semiramidi, le Giovanne d’Arco, le Jeanne Hachette; le Giuditte
e le Calotte Corday; le Cleopatre e le Messaline; le guerriere che
combattono con più ferocia dei maschi, le amanti che incitano,
le distruttrici che, spezzando i più deboli, agevolano la
selezione attraverso l’orgoglio e la disperazione, “la
disperazione che dà al cuore tutto il suo rendimento”.
Che le prossime guerre suscitino eroine
come la magnifica Caterina Sforza, che durante l’assedio della sua
città, vedendo dall’alto delle mura il nemico che minacciava
la vita di suo figlio per costringerla ad arrendersi, mostrando
eroicamente il proprio sesso gridò: “Uccidetelo, ho ancora
lo stampo per farne altri!”.
È vero, “il mondo è
marcio di saggezza”, ma per istinto la donna non è saggia,
non è pacifista, non è buona. Mancando totalmente di
senso della misura, essa diviene fatalmente, durante i periodi
sonnolenti dell’umanità, troppo saggia, troppo pacifista,
troppo buona. Il suo intuito e la sua immaginazione sono allo stesso
tempo la sua forza e la sua debolezza.
Essa incarna l’individualità della folla: fa da corteo agli eroi, o, in mancanza di meglio, sprona gli imbecilli.
Essa incarna l’individualità della folla: fa da corteo agli eroi, o, in mancanza di meglio, sprona gli imbecilli.
Secondo l’apostolo pungolatore dello
spirito, la donna pungola la carne, immola o cura, fa scorrere il
sangue o lo stagna, è guerriera o infermiera. È la
stessa donna che, nella medesima epoca, a seconda delle idee
prevalenti circa i fatti del giorno, si stende sui binari per
impedire ai soldati di partire in guerra, oppure si getta al collo
del campione vittorioso.
Ecco perché nessuna rivoluzione
deve escluderla. Ecco perché, invece di disprezzarla, bisogna
rivolgersi a lei. È lei la conquista più feconda che si
possa fare, la più entusiasta, quella che, a sua volta,
moltiplicherà gli adepti.
Ma niente Femminismo. Il Femminismo è
un errore politico. Il Femminismo è un errore cerebrale della
donna, un errore che il suo istinto riconoscerà.
[... ... ...]
Da secoli si contrasta l’istinto della donna, se ne apprezzano solo il fascino e la tenerezza. L’uomo anemico, avaro del suo sangue, le chiede solo di fargli da infermiera. E lei si è lasciata domare. Ma gridatele una parola nuova, lanciatele un grido di guerra, e con gioia, cavalcando nuovamente il suo istinto, lei vi precederà sulla via di conquiste impensate.
Quando vi serviranno le armi, sarà lei ad affilarle.
[... ... ...]
Da secoli si contrasta l’istinto della donna, se ne apprezzano solo il fascino e la tenerezza. L’uomo anemico, avaro del suo sangue, le chiede solo di fargli da infermiera. E lei si è lasciata domare. Ma gridatele una parola nuova, lanciatele un grido di guerra, e con gioia, cavalcando nuovamente il suo istinto, lei vi precederà sulla via di conquiste impensate.
Quando vi serviranno le armi, sarà lei ad affilarle.
Tornerà ad aiutare la selezione.
Infatti, pur tarda nel discernere il genio, che tende a confondere
con la fama passeggera, lei ha sempre saputo ricompensare il più
forte, il vincitore, colui che trionfa coi muscoli e col coraggio.
Davanti a questa superiorità, che s’impone brutalmente, lei
non può sbagliarsi.
Che la donna ritrovi quella crudeltà
e quella violenza che la portano ad accanirsi sui vinti, proprio
perché sono dei vinti, fino a mutilarli. Smettiamo di
predicarle la giustizia spirituale, verso cui si è sforzato
invano. Donne, tornate ad essere sublimi e ingiuste, come tutte le
forze della natura! Sciolte da ogni controllo, con il vostro
ritrovato istinto, voi riprenderete posto fra gli Elementi, opponendo
la fatalità alla volontà cosciente dell’uomo. Siate
la madre egoista e feroce, che sorveglia gelosamente i suoi piccoli,
e ha su di loro tutti i diritti e tutti i doveri, finché essi
hanno fisicamente bisogno della sua protezione.
Che l’uomo, svincolato dalla
famiglia, viva la sua vita d’audacia e di conquista fin da quando
ne ha la forza fisica, benché sia figlio e benché sia
padre. L’uomo che semina non si ferma al primo solco da lui
fecondato.
Nelle mie “Poesie d’orgoglio” e ne “La sete e i miraggi” io ho rinnegato la sentimentalità come spregevole debolezza, perché imbriglia le forze e le immobilizza.
La lussuria è una forza, perché distrugge i deboli ed eccita i forti a spendere le energie, e quindi a rinnovarle. Ogni popolo eroico è sensuale. La donna è per lui la più esaltante dei trofei.
La donna deve essere o madre, o amante. Le vere madri saranno sempre amanti mediocri, e le amanti, madri inadeguate per eccesso. Uguali di fronte alla vita, questi due tipi di donna si completano. La madre che accoglie un bimbo, con il passato fabbrica il futuro; l’amante dispensa il desiderio, che trascina verso il futuro.
Nelle mie “Poesie d’orgoglio” e ne “La sete e i miraggi” io ho rinnegato la sentimentalità come spregevole debolezza, perché imbriglia le forze e le immobilizza.
La lussuria è una forza, perché distrugge i deboli ed eccita i forti a spendere le energie, e quindi a rinnovarle. Ogni popolo eroico è sensuale. La donna è per lui la più esaltante dei trofei.
La donna deve essere o madre, o amante. Le vere madri saranno sempre amanti mediocri, e le amanti, madri inadeguate per eccesso. Uguali di fronte alla vita, questi due tipi di donna si completano. La madre che accoglie un bimbo, con il passato fabbrica il futuro; l’amante dispensa il desiderio, che trascina verso il futuro.
Concludiamo:
La Donna che con le sue lacrime e con lo sfoggio dei sentimenti trattiene l’uomo ai suoi piedi è inferiore alla ragazza che, per vantarsene, spinge il suo uomo a mantenere, pistola in pugno, il suo arrogante dominio sui bassifondi della città; quest’ultima, per lo meno, coltiva un’energia che potrà anche servire a cause migliori.
La Donna che con le sue lacrime e con lo sfoggio dei sentimenti trattiene l’uomo ai suoi piedi è inferiore alla ragazza che, per vantarsene, spinge il suo uomo a mantenere, pistola in pugno, il suo arrogante dominio sui bassifondi della città; quest’ultima, per lo meno, coltiva un’energia che potrà anche servire a cause migliori.
Donne, troppo a lungo sviate dai
moralismi e dai pregiudizi, ritornate al vostro sublime istinto, alla
violenza, alla crudeltà. Per la fatale decima del sangue,
mentre gli uomini si battono nelle guerre e nelle lotte, fate figli,
e di essi, in eroico sacrificio, date al Destino la parte che gli
spetta. Non allevateli per voi, cioè per sminuirli, ma nella
più vasta libertà, perché il loro rigoglio sia
completo.
Invece di ridurre l’uomo alla
schiavitù degli squallidi bisogni sentimentali, spingete i
vostri figli e i vostri uomini a superare sé stessi.
Voi li avete fatti. Voi potete tutto su di loro.
All’umanità dovete degli eroi. Dateglieli.
Voi li avete fatti. Voi potete tutto su di loro.
All’umanità dovete degli eroi. Dateglieli.
Valentine de Saint-Point
Parigi, 25 marzo 1912
19, Avenue de Tourville
Parigi, 25 marzo 1912
19, Avenue de Tourville
Ecco un richiamo alle donne, un invito
ad affermare la loro autonomia e indipendenza, da parte di Dacia
Maraini: dacia-maraini.jpg"... Donne mie che siete pigre,
angosciate, impaurite,
sappiate che se volete diventare persone
e non oggetti, dovete fare subito una guerra
dolorosa e gioiosa, non contro gli uomini, ma
contro voi stesse che vi cavate gli occhi
con le dita per non vedere le ingiustizie
che vi fanno. Una guerra grandiosa contro chi
vi considera delle nemiche, delle rivali,
degli oggetti altrui; contro chi vi ingiuria
tutti i giorni senza neanche saperlo,
contro chi vi tradisce senza volerlo,
contro l'idolo donna che vi guarda seducente
da una cornice di rose sfatte ogni mattina
e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere,
scintillanti di collane, ma prive di braccia,
di gambe, di bocca, di cuore, possedendo per bagaglio
solo un' amore teso, lungo, abbacinato e doveroso
(il dovere di amare ti fa odiare l'amore, lo so)
un' amore senza scelte, istintivo e brutale.
Da questo amore appiccicoso e celeste dobbiamo uscire
donne mie, stringendoci fra noi per solidarietà
di intenti, libere infine di essere noi
intere, forti, sicure, donne senza paura".
e non oggetti, dovete fare subito una guerra
dolorosa e gioiosa, non contro gli uomini, ma
contro voi stesse che vi cavate gli occhi
con le dita per non vedere le ingiustizie
che vi fanno. Una guerra grandiosa contro chi
vi considera delle nemiche, delle rivali,
degli oggetti altrui; contro chi vi ingiuria
tutti i giorni senza neanche saperlo,
contro chi vi tradisce senza volerlo,
contro l'idolo donna che vi guarda seducente
da una cornice di rose sfatte ogni mattina
e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere,
scintillanti di collane, ma prive di braccia,
di gambe, di bocca, di cuore, possedendo per bagaglio
solo un' amore teso, lungo, abbacinato e doveroso
(il dovere di amare ti fa odiare l'amore, lo so)
un' amore senza scelte, istintivo e brutale.
Da questo amore appiccicoso e celeste dobbiamo uscire
donne mie, stringendoci fra noi per solidarietà
di intenti, libere infine di essere noi
intere, forti, sicure, donne senza paura".
Dacia Maraini
Dacia Maraini (1936-) [Itinerari,
p.180-183; Marianna Ucria]Figlia dell’antropologo Fulco Maraini e
della principessa siciliana Topazia Alliata, fu a lungo compagna di
Moravia, con cui visse dal 1962 al 1983, accompagnandolo nei suoi
viaggi intorno al mondo. Schierata da sempre in difesa dei diritti
delle donne nella società e nel mondo della cultura, Dacia
Maraini è stata portavoce delle problematiche femministe negli
anni più duri della contestazione. I romanzi giovanili La
vacanza (1962) e soprattutto L’età del malessere ( 1963) la
fecero conoscere subito al grande pubblico, suscitando anche un certo
scandalo.In seguito escono Memorie di una ladra(1973), Donna in
guerra e Isolina.
Nel 1990 pubblica La lunga vita di
Marianna Ucria, vero best seller, tradotto in 18 paesi, vincitore di
vari premi letterari e ridotto a film da Roberto Faenza nel 1994.
Sempre nel 1994 scrive Voci, un romanzo ambientato in una radio e
Dolce per sé nel 1997. Dalla seconda metà degli anni
’60 ha scritto anche molti testi teatrali. Per il cinema ha
collaborato con Moravia e Pasolini nella stesura di alcuni soggetti
di film ( Il fiore delle mille e una notte, Medea). Nel 1980 in
collaborazione con Piera degli Esposti ha scritto Storia di Piera per
la regia di Roberto Faenza; sempre nell’ambito della
biografia-autobiografia ha scritto Il bambino Alberto (1986),
Bagheria finalista allo Strega nel 1993, La nave per Kobe (2002). Con
la raccolta di racconti Buio del 1999 ha vinto il Premio Strega.
Svolge anche attività di giornalista e di traduttrice dal
francese ( vedi anche Cercando Emma su Madame Bovary).
Come si vede, l’attività della
Maraini è intensa e multiforme; il centro della sua scrittura
è sempre la condizione della donna, ma questo tema è
affrontato con ottiche e tecniche diversissime: dai ricordi
autobiografici che riprendono il modello dell’"autocoscienza"
femminista al teatro sperimentale, dai romanzi di ambientazione
contemporanea (Voci) a quelli primo Novecento ( Isolina)a Marianna
Ucria che è addirittura ambientato nel Settecento. Quindi si
va da un massimo a un minimo di provocazione tecnica, dal frammento
che punta alla mimesi della tradizione orale come unica forma
letteraria concessa all’espressività femminile nei secoli di
Donne in guerra al racconto convenzionale, strutturato in modo
organico di Marianna Ucria. La parola nelle poesie di Donne mie del
1974 si appiattisce nel suo valore essenziale, gnomico, è
volutamente disadorna, aderente alla fisicità, alla
materialità, sceglie quasi un grado zero di espressività;
invece la prosa di Marianna Ucria che pure ha per protagonista una
sordomuta è ricca di sfumature, perché vuol rendere un
doppio punto di vista, quello della società storica che si
muove, agisce parla di e per Marianna e quello di Marianna, che
riflette in silenzio e comunica con due canali fisici, concreti,la
pagina scritta e l’atteggiarsi del corpo.[ leggere Amata scrittura,
2000, pp.62-63]
"Donne mie" Einaudi
Il segno di un presenza femminile forte
e amante della vita, nelle parole di Fernanda Romagnoli:
Stigmata
Qui dunque fui bambina. Alla
marina
crescevo accanto: l'anima digiuna
d'ogni perché - famelica altrettanto.
Gigli ad oriente, la riva era una spada.
Stupendo sacrilegio imporvi un segno
- l'arco del piede - premere col viso
La freschezza deposta dalla luna.
Il mare straripava nel sereno
a livello dei cigli. Ah, la bellezza
che pativo, non mia, che mia stringevo
in quel primo singhiozzo di creatura
che s'arrende all'immenso - era già il pegno,
la stigmata che in me sfolgora e dura.
crescevo accanto: l'anima digiuna
d'ogni perché - famelica altrettanto.
Gigli ad oriente, la riva era una spada.
Stupendo sacrilegio imporvi un segno
- l'arco del piede - premere col viso
La freschezza deposta dalla luna.
Il mare straripava nel sereno
a livello dei cigli. Ah, la bellezza
che pativo, non mia, che mia stringevo
in quel primo singhiozzo di creatura
che s'arrende all'immenso - era già il pegno,
la stigmata che in me sfolgora e dura.
Fernanda Romagnoli nacque a Roma nel
1916 e vi morì nel 1986. Il suo libro più
importante, Il tredicesimo invitato, da cui è tratta
questa lirica, fu scelto nel 1980 da Attilio Bertolucci per Garzanti
e pubblicato con prefazione di Sereni, ma il risvolto editoriale, per
volontà dell'autrice, non riportava alcuna notizia su di lei.
Qualche critico giunse ad attribuire le poesie a Bertolucci che
dichiarò che alcune avrebbe voluto averle scritte.
Un invito a desistere dalle guerre,
nella poesia dedicata da Antonia Pozzi alle donne che "gridano
coraggio":
Le donne
In urlo di sirene
una squadriglia
fiammante spezza il cielo.
una squadriglia
fiammante spezza il cielo.
Rotte tra case affondano
le campane.
le campane.
S'affacciano le donne
a tricolori abbracciate;
gridan coraggio
nel vento
i loro biondi capelli.
a tricolori abbracciate;
gridan coraggio
nel vento
i loro biondi capelli.
Poi,
occhi si chinano spenti.
occhi si chinano spenti.
Nella sera
guardan laggiù il primo morto
disteso sotto le stelle.
guardan laggiù il primo morto
disteso sotto le stelle.
3 ottobre 1935
Antonia Pozzi "Parole"
Garzanti
a “Naturale sconosciuto”
Per tutte le costole bastonate e rotte.
Per ogni animale sbalzato dal suo nido
e infranto nel suo meccanismo d’amore.
Per tutte le seti che non furono saziate
fino alle labbra spaccate alla caduta
e all’abbaglio. Per i miei fratelli
nelle tane. E le mie sorelle
nelle reti e nelle tele e nelle
sprigionate fiamme e nelle capanne
e rinchiuse e martoriate. Per le bambine
mie strappate. E le perle nel fondale
marino. Per l’inverno che mi piace
e l’urlo della ragazza
quel suo tentare la fuga invano.
Per tutto questo conoscere e amare
eccomi. Per tutto penetrare e accogliere
eccomi. Per ondeggiare col tutto
e forse cadere eccomi.
che ognuno dei semi inghiottiti
si farà in me fiore
fino al capogiro del frutto lo giuro.
Che qualunque dolore verrà
puntualmente cantato, e poi anche
quella leggerezza di certe
ore, di certe mani delicate, tutto sarà
guardato mirabilmente
ascoltata ogni onda di suono, penetrato
nelle sue venature ogni canto ogni pianto
lo giuro adesso che tutto è
impregnato di spazio siderale.
Anche in questa brutta città appare chiaro
sopra i rumorosissimi bar
lo spettro luminoso della gioia.
Questo lo giuro.
Per tutte le costole bastonate e rotte.
Per ogni animale sbalzato dal suo nido
e infranto nel suo meccanismo d’amore.
Per tutte le seti che non furono saziate
fino alle labbra spaccate alla caduta
e all’abbaglio. Per i miei fratelli
nelle tane. E le mie sorelle
nelle reti e nelle tele e nelle
sprigionate fiamme e nelle capanne
e rinchiuse e martoriate. Per le bambine
mie strappate. E le perle nel fondale
marino. Per l’inverno che mi piace
e l’urlo della ragazza
quel suo tentare la fuga invano.
Per tutto questo conoscere e amare
eccomi. Per tutto penetrare e accogliere
eccomi. Per ondeggiare col tutto
e forse cadere eccomi.
che ognuno dei semi inghiottiti
si farà in me fiore
fino al capogiro del frutto lo giuro.
Che qualunque dolore verrà
puntualmente cantato, e poi anche
quella leggerezza di certe
ore, di certe mani delicate, tutto sarà
guardato mirabilmente
ascoltata ogni onda di suono, penetrato
nelle sue venature ogni canto ogni pianto
lo giuro adesso che tutto è
impregnato di spazio siderale.
Anche in questa brutta città appare chiaro
sopra i rumorosissimi bar
lo spettro luminoso della gioia.
Questo lo giuro.
Mariangela Gualtieri
“Bestia di gioia” (Einaudi, 2010),
ultima raccolta di Mariangela Gualtieri, delinea con una
scrittura limpida e appassionata insieme una ricerca giocata – nel
senso più alto del termine – non sulle ma con le parole. E’
tra il suono e la sua origine, il silenzio – lemma non a caso
ricorrente come un fil rouge nel libro unitamente a “forza” e
“potenza” – che s’inserisce il vettore mistico, vero
protagonista dei testi (la trama misteriosa/che per certa sappiamo
od, anche, ciò che viene splendido in dono). Si tratta
tuttavia di una mistica saldamente radicata nel concreto, tra il
nato fra le zampe e tutte le ragnatele, e che proprio per questo
riesce a intrecciare senza soluzione di continuità un
andirivieni stupito ma consapevole fra terra e cielo, in una natura
talmente immanente da diventare chiave, e non solo simbolo, per
l’oltre, per l’Essere ogni cosa. La stessa dimensione verticale
di numerosi testi affollati di stelle e cieli e fuoco e nuvole e
vento fluisce con l’acacia chiama l’ape che ricama/…/Nasce
un cantare d’uccello/sconosciuto, un viavai d’alveare….
Lin
"Come so' belli 'sti figli
miei, finalmente tutti insieme".
Peperoni ripieni e pesci in faccia
Un film di Lina Wertmüller.
Con F. Murray Abraham, Sophia Loren, Angela Pagano, Elio
Pandolfi, Carolina Rosi Drammatico, durata 105 min.
-
Peperoni ripieni e pesci in
faccia
"Pioveva quel giorno a Roma e c'era un gran vento, forse per questo a Sofia e a me è venuta voglia di una storia al sole e al mare, in un'atmosfera di quelle che non si raccontano più. Una storia che fosse anche di ritorni a casa". Così Lina Wertmüller, entrata nella storia della celluloide per essere stata la prima donna a ricevere una candidatura all'Oscar per la miglior regia (con il film Pasqualino Settebellezze, del 1975), ricorda la genesi della sua ultima fatica, sceneggiata in collaborazione con il veterano Elvio Porta (Mi manda Picone) ed Umberto Marino (La fiamma sul ghiaccio), autore del soggetto, la quale, targata 2004, solo ora approda nelle sale cinematografiche italiane. Sulle note di una canzone cantata da Sofia Loren, inizia la storia di una famiglia del Sud Italia che si raduna in occasione della festa di compleanno della anziana ma arzilla nonna Assunta, con il volto di Angela Pagano, completamente immersa nelle vicende del maresciallo Rocca e degli altri protagonisti delle fiction. Veniamo quindi a conoscenza di Maria, interpretata, appunto, dalla Loren, residente in una traballante casa sul mare e legata da molti anni a Jeffrey, cui concede anima e corpo il mai disprezzabile F. Murray Abraham, giornalista che, pur di starle vicino, ha rinunciato al suo lavoro per svolgere l'attività di pescatore. Ma, mentre i due attendono l'arrivo dei loro tre figli, ormai adulti ed ognuno con la propria famiglia, si percepisce un certo malumore nell'aria e, come se non bastasse, si rifà vivo anche Sal, vecchio corteggiatore di Maria, nei cui panni troviamo Armando Pugliese. Gli equilibri familiari si ritroveranno allora completamente scombinati, in quanto anche i ragazzi giungeranno afflitti da non pochi problemi, finendo per favorire ulteriormente una giornata stracolma di liti, scenate, visite, fughe e scoperte, nel corso della quale l'amore si manifesterà, come il titolo suggerisce, anche attraverso peperoni ripieni e pesci in faccia.
Lina Wertmuller Biografia
Lina a soli 17 anni decide di
seguire la sua passione iscrivendosi al corso di regia
all'Accademia Teatrale romana diretta da Pietro Scharoff. Per
alcuni anni è animatrice e regista negli spettacoli di
burattini di Maria Signorelli e, conseguito il diploma, entra nel
mondo del teatro fcendo anche un lungo apprendistato nel mondo
dello spettacolo musicale con Garinei e Giovannini. Lina si
avvicina ben presto al mondo della radio e della televisione e nel
1959 è l'autrice della prima edizione del programma
'Canzonissima'. Nei primi anni Sessanta, mentre si avvicina al
cinema, dirige per il piccolo schermo l'adattamento del romanzo di
Vamba 'Il Giornalino di Gianburrasca', che sceneggiato in più
puntate segna l'approdo sul piccolo schermo di un nuovo genere, il
musical-comedy. Nel 1963 debutta dietro la macchina da presa con
"I basilischi", film di cui firma anche soggetto e
sceneggiatura e di cui doppia ben otto tra i personaggi secondari.
Il suo film d'esordio è un'analisi profonda e disincantata
dei giovani delle province meridionali italiane e conquista anche
il pubblico estero aggiudicandosi la Vela d'Argento al Festival di
Locarno del 1963 e altri riconoscimenti a Londra e a Taormina. Nel
1965 con "Questa volta parliamo di uomini", si cimenta
con il film ad episodi e dirige Nino Manfredi. Sempre negli
anni Sessanta, seguendo una moda di quegli anni, firma con lo
pseudonimo di George H. Brown, due commedie musicali: "Rita
la zanzara" (1966) e "Non stuzzicate la
zanzara"(1967). In questi film, in cui Lina riesce a
convolgere nomi prestigiosi come Giulietta Masina, Turi Ferro
e Paolo Panelli, trova spazio un esordiente, Giancarlo
Giannini, la cui carriera rimarrà per anni legata alla sua.
Nel 1968 la Wertmüller dirige anche un film western, "The
Belle Starr Story", con Elsa Martinelli. Dopo un periodo
lontano dalla regia cinematografica, torna dietro la macchina da
presa nel 1972 con "Mimì metallurgico ferito
nell'onore", affresco dell'Italia del sud e dei suoi miti
visti con gli occhi di un giovane siciliano emigrato a Torino in
cerca di fortuna. E' la volta poi di "Film d'amore e
d'anarchia ovvero: stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota
casa di tolleranza" (1973), "Travolti da un insolito
destino nell'azzurro mare d'agosto" (1974) e "Notte
d'estate con profilo greco occhi a mandorla e odore di basilico"
(1986), in cui il personaggio principale è interpretato
da Michele Placido. Nel 1976 con "Pasqualino
Settebellezze" Lina raggiunge il successo internazionale
e conquista il mercato americano ottenendo, prima regista donna,
quattro nomination agli Oscar come migliore regia, miglior film
straniero, migliore sceneggiatura e migliore attore protagonista.
Nel 1987 debutta anche nella regia di un'opera lirica al San Carlo
di Napoli dove mette in scena la 'Carmen' di Bizet con
cui va in tournée anche allo Stat Opera di Monaco. Nel 1990
realizza per Canale 5 la miniserie riscritta insieme a Raffaele La
Capria, 'Sabato, domenica e lunedì', interpretato da Luca
De Filippo, Luciano De Crescenzo e Sophia Loren, tratta
dall'omonima commedia di Eduardo. Nel 1992 è la volta di
"Io speriamo che me la cavo", con Paolo Villaggio e
nel 1996 di "Ninfa plebea", tratto dal romanzo omonimo
di Domenico Rea e di "Metalmeccanico e parrucchiera in
un turbine di sesso e politica", in cui rivisita il conflitto
di classe in chiave contemporanea. Nel 2000 torna ancora alla
televisione girando a Procida 'Francesca e Nunziata',
con Giancarlo Giannini e Sophia Loren. Nel 2001 le
è stato conferito il premio alla carriera al Trani Film
Festival. Ultimamente ha realizzato la pellicola "Peperoni
ripieni e pesci in faccia" (2004) con Sophia
Loren eMurray Abraham.
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sciabole di silenzio affiorano
in una tazzina di caffè
umori affinità crepitìo
di ore
in attesa di un’alba
stilemi pulsioni valori
respiri naufragi in perdizione
*
un domani incerto
serra questa notte
*
una pena spalancata nel vento
raccoglie la sua irriducibile distanza
un delirio un grido si raggruma
nelle maree del bene e del male
tempestate di viola
l’acqua borbotta parole e parole
groviglio di rovi microliti
nebbia densa assenza del domani
un precipizio di cadute
ci vieta respirare
ma nella pioggia stasera
anni dispersi in un boato
su arenile bianco che tende la mano
*
ha braccia lunghe e corpo pieno
sprofonda nei fondali si inerpica non
tace
brucia di un destino nelle retrovie
è marea che investe
con tonfi sibili rumori
una trincea di dolori già
vissuti
la vita in versi
una strana gioia anche nel dolore
non si vede il mare
*
fiordi di trasparenze come un castigo
madri disfiorano recinti di catene
nel buio di mestizia
sfere lambiscono
deserti inusitati corbezzoli in
lamiere
madri in catene su rigori di blasfemie
luci stampano
se fossero di carta brucerebbero
nel forame che annienta follie
mantide tra foglie al vento
la più alta delle solitudini al
margine
di memoria
emersa da un confine di cielo
non più lo stesso
una brina di silenzi e
chiaroscuri
riveste le tempie di deserto
le narici di domani
risuonano in corsa nella notte
*la luna inciampa in un cespuglio
*
non si vede il mare
offeso lancia strali
tra i poli del tempo
nella memoria lottano
mattini d’estate
pampini nidi di verbena
mani di conchiglia
dentro una voce una lingua
in lieve tremito
su battito di ciglia
*
un vento stridendo
veglia odore di incenso
germina con ferocia
dilaga infuria ripiega in labirinti
raccordi di un autunno
nel candore
tra veglie di silenzio
questo mare
la verità una trappola
di macerie e polvere
nei deserti
*
oltre il silenzio con due volti
voragine e sole
marchio di deportazione
nei gironi dove si perde terra
fauci su parole a mozziconi
da inchiodare
*
la verità nel buio
del fogliame
non è qui il senso
*
gradino per gradino
unica superstite
la pagina traccia
in punta di piedi
sul filo di neve
avventura viaggio
scoperta cattura
un centro di infinità
alpha e omega
*
porgo orecchio
a un mosaico
tutto da comporre
*
un greto di fughe
si dipana fuoco arde
su ombra di luna
dissacra ironie
in orizzonte senza prospettive
*
i sogni diventano
poltiglia nel mormorio (umido)
del vento
brandelli di carni
silenziano palpebre infuse
di pietà
lungo sponde
di guinzagli gela una rinascita
di solitudine più alta
col silenzio pieno
della notte
e la notte senza fine
nudità di parole
brucia tutte le faville
il mondo
svende Cristo in agonia
*
porgo orecchio
a un mosaico
tutto da comporre
*
un granello
me stessa dentro
quel distacco un dono
me stessa
me stessa
in un attimo
per ogni creatura
*
altra memoria ritrovata
controvento
terra bagnata pareti vuote
luoghi di dissenso
su versi di bellezza e arcobaleni
attendi una vita
segnata da qualche parte
un destino di nuvole
un puzzle di fermate
sgomento di piede
che non regge la caduta
*
dove starà l’amore…
*
pioggia di anestesia
stralci di sogni arresi
rimani in quello che è tuo
*
attraversi il mondo
con il cuore in gola
finchè vivrai
finchè camminerai
ma con le parole
ne farai memoria
donna
*
non esiste verità
apre le sue chiuse
apre le sue rovine
di integrità
apre le sue chiuse
apre le sue rovine
di integrità
in un momento
ascolto il rumore del tuo sangue
che stilla oltre l’orizzonte
sogni ombre voli
ascolto il rumore del tuo sangue
che stilla oltre l’orizzonte
sogni ombre voli
nei tuoi occhi
svanisco nel gelo
vuoto cigola
svanisco nel gelo
vuoto cigola
sui cardini del Nulla
la verità una trappola
di macerie e polvere
nei deserti
*
per tutto quel bianco
rubato alle nubi
sai quante volte
modulo il respiro
rubato alle nubi
sai quante volte
modulo il respiro
*vedi -si fa pietra
su declivi di orizzonti
in attesa di un silenzio
che disgeli il viola
delle carni
*
per tutto quel bianco
a misura di armonia
assiepato tra una parola
e l’altra
*
sai quante volte
sprofondo
in anfratti di scoglio
senza riparo
eppure ali ferme
mi sfiorano le mani
in attesa di un silenzio
che disgeli il viola
delle carni
*
per tutto quel bianco
a misura di armonia
assiepato tra una parola
e l’altra
*
sai quante volte
sprofondo
in anfratti di scoglio
senza riparo
eppure ali ferme
mi sfiorano le mani
per tutto quel candore
tenace dentro un sogno
nei lineamenti
con vertice sul buio
mi disconnetto
*
tenace dentro un sogno
nei lineamenti
con vertice sul buio
mi disconnetto
*
da secoli brucio
dentro viscere millenarie
di mistero
*
per quel candore
come mare sconfino
su grovigli di onde
- incaute implodono-
in attesa di una luce
che perduri
*
per tutto quel bianco
mi strapperei confusa nel respiro
la presenza
di un’assenza senza fine
*
per tutto quel bianco
basta il silenzio
nel tuo nome
*
c’è un silenzio antico nelle cose
sui crinali dei colli
nei limoneti
in fondo alle valli
intrecciate di ortiche
grovigli di rami disseminati
erbe aromatiche
finocchi selvatici
menta e rucola
c’è un silenzio antico nelle cose
aspetta da sempre
sorregge radici di ulivi
nidifica nel forno sconnesso
tendo l’orecchio
a inseguire voci
che invadono segni
consonanze di parole lievi
librate nelle crepe
dei muri sconnessi
tra ciottoli e spini
dietro ogni siepe
c’è un silenzio antico nelle cose
estenuato da parole di sempre
in ogni angolo
della vecchia casa
nella speranza che tende la mano
inseguo tenacemente l’azzurro
con occhi spalancati
ma respirare cieli è un’altra cosa
e c’è un silenzio dentro le parole
che rimbalza distrattamente
mai al tempo giusto
muto nel dolore
un silenzio non ancora sfiorato
da venti lievi
come le mie ciglia
c’è un silenzio che nessuna parola
può penetrare senza fiatare
con mille nodi i suoni
ne infittiscono gli echi
segnati da erba calpestata
e rami che annaspano
al fruscio dei pioppi ansimanti
ma poi senti l’acqua del torrente
borbottare prima piano
poi sempre più incessante
parole e parole
c’è silenzio nel nido
di quei passerotti implumi
c’è silenzio nel buio
dentro viscere millenarie
di mistero
*
per quel candore
come mare sconfino
su grovigli di onde
- incaute implodono-
in attesa di una luce
che perduri
*
per tutto quel bianco
mi strapperei confusa nel respiro
la presenza
di un’assenza senza fine
*
per tutto quel bianco
basta il silenzio
nel tuo nome
*
c’è un silenzio antico nelle cose
sui crinali dei colli
nei limoneti
in fondo alle valli
intrecciate di ortiche
grovigli di rami disseminati
erbe aromatiche
finocchi selvatici
menta e rucola
c’è un silenzio antico nelle cose
aspetta da sempre
sorregge radici di ulivi
nidifica nel forno sconnesso
tendo l’orecchio
a inseguire voci
che invadono segni
consonanze di parole lievi
librate nelle crepe
dei muri sconnessi
tra ciottoli e spini
dietro ogni siepe
c’è un silenzio antico nelle cose
estenuato da parole di sempre
in ogni angolo
della vecchia casa
nella speranza che tende la mano
inseguo tenacemente l’azzurro
con occhi spalancati
ma respirare cieli è un’altra cosa
e c’è un silenzio dentro le parole
che rimbalza distrattamente
mai al tempo giusto
muto nel dolore
un silenzio non ancora sfiorato
da venti lievi
come le mie ciglia
c’è un silenzio che nessuna parola
può penetrare senza fiatare
con mille nodi i suoni
ne infittiscono gli echi
segnati da erba calpestata
e rami che annaspano
al fruscio dei pioppi ansimanti
ma poi senti l’acqua del torrente
borbottare prima piano
poi sempre più incessante
parole e parole
c’è silenzio nel nido
di quei passerotti implumi
c’è silenzio nel buio
che trasmigra certezze
nel rumore incessante dei dubbi
nelle pagine bianche
nei luoghi di frontiera
in questo tempo che se ne va
c’è silenzio anche nel fuoco
che divampa e zampilla
empiti di poesia
arde seguendo tracce
di odori suoni e colori
ma quante parole non dette
nel silenzio di tante parole
nel rumore incessante dei dubbi
nelle pagine bianche
nei luoghi di frontiera
in questo tempo che se ne va
c’è silenzio anche nel fuoco
che divampa e zampilla
empiti di poesia
arde seguendo tracce
di odori suoni e colori
ma quante parole non dette
nel silenzio di tante parole
Maria Allo
Scheda di lettura
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individua le affinità e le differenze dei testi proposti
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Parole
Indica qui le parole che ti erano sconosciute e che hai cercato sul vocabolario poi copia la breve definizione che ti è stata data.
|
Hai colto leggendo alcune specificità che qualificano il tipo di scrittura come propriamente scritta da una donna?
|
Ne ritrovi in questi testi?
Se sì, quali sono?
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Quali meccanismi espressivi consentono la transizione da un momento all'altro delle poesie? |
Sottoline i termini che alludono all'oscurità e quelli che alludono alla luce
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Linguaggio filmico
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Che significato lirico assume la riflessione sulla transitorietà dell'esperienza umana? |
il lessico |
Scheda di ricerca
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Cerca e riassumi qui i dati essenziali e significativi della vita dell’autrice e fornisci un breve commento su ciascuna delle opere che conosci dell’autrice.
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B.
RACCONTARSI
§ Descrivi un soggetto da te scelto.
§ Scrivi l’introduzione presentandolo in breve.
§ Descrivilo con ricchezza di particolari: fallo vivere, impegnalo in azioni, in circostanze precise, racconta episodi significativi e commenta con tue espressioni.
§ Concludi con riflessioni personali.
§ Usa un linguaggio ricco di aggettivi, di paragoni, espressioni del linguaggio figurato per coinvolgere maggiormente il lettore.
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Registra il tuo ritratto (solo voce o anche filmandoti mentre leggi),
e poi fallo ascoltare a chi vuoi (amici, parenti).
Quali commenti avete fatto tu e le persone coinvolte?
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Potrebbe il tuo ritratto essere individuato come opera di una scrittrice. Se sì, perché?
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