Maria Allo

Katrin Alvarez

dentro la gomena che sfugge
al controllo della sera
ti cerco
nei rigori di un tempo che invade
le tempie a doppia lama
i sapori di labbra tra cardini di traversate
come nuvole nel loro esodo
ti cerco
nel grembo di paese in quel soffio
tempestato di suoni
*
dentro il cerchio zampilla
frescura sotterranea di gemma
ti cerco
su fiori di glicine
vibrano di nuovi sensi
nemici di foglie
tendono al mutamento per un gesto solo
una sete avanza nel respiro
sconfina su varchi per un sogno di nascita
*
in limine ti cerco per lungo spazio
in grazia di un anelito
mano che sfiora l’arcobaleno
anche per un momento
nel tuo esistere
m.a.
vergata genuflessa
dannata
questa meta di acqua alle frontiere
grave mi attraversa
incedere distratto senza volto
tono oscuro sguardo frettoloso
sospensione senza un prezzo
ma so di appartenerti tutta
realtà cruda
nomade parola
presenza oralità
una penombra mi si addice
kairòs tra spazio e veglia dove sostare
tensione che si fa fiume
taglia la mia lingua
morte e luce a tratti
esplodono
tutto comincia con questo mare
attraversa tutti noi
epopea ancestrale di ogni dire
m.a.
questa cosa che muore, che è la vita stessa,
ha le stesse foglie caduche del melograno, gli stessi soffitti anneriti sotto i quali riponevo te, scorta di grano, l’uguale disposizione dei mattini estivi, ora fievoli fiati che appannano gli occhi.
non posso scriverne a lungo, essa è agli sgoccioli come il nostro cuore, le vene e l’acqua di fonte, si dissipa in viltà così minute che la memoria non trattiene, che la mente mina coi suoi anticorpi specializzati; questa cosa che muore ha due case e due fronti, in uno ripara, nell’altra è sotto mira, sicché anziché finestre ha feritoie e siamo bravi cecchini se da lontano osserviamo noi stessi avvicinarci alla porta, mendicanti, imploranti, ci figuriamo il nemico armato fino ai denti e, prima che gratti il nostro legno, spariamo.
questa cosa che muore, muore così distante, ci risparmiamo lo sguardo, la sua muta preghiera, l’agonia condivisa.
passiamo oltre a questa cosa che muore, la chiamiamo tutta con lo stesso nome, ricordo, mentre col soffio del mantice ci respira accanto: che invece fosse gioia o rimpianto, o nostalgia, o commossa bellezza, e allegria di naufraghi - e subito riprende il viaggio, come dopo il naufragio un superstite lupo di mare* - o mano calda per mano fredda, o cura, o passione linfatica per la nostra poesia, non fa niente, eccoci al suo capezzale: potrà fare mai male ora guardare la sua linea sinusoidale, affidarsi ad tracciato che prenda, immediato, il posto del gran destino e di tutti i destini vassalli che abbiamo assoldato come inutili servi che dormono negli stanzini, che ci rubano il pane, che passano dalle nostre stanze in livrea solo per spostare un granello di polvere e, perfetti e compassati, i passi attutiti, non lucidano che i telai dei giorni disperati e sperati.
questa cosa che muore è opaca, perde i connotati, la sua testa rimpicciolisce come le prede dei cannibali, ci sarà tanto tempo per farcene una ragione, pensiamo, non appena usciti fuori dal villaggio selvaggio, e la ragione la porteremo dalla nostra parte con la vergogna ben nascosta in tasca, immaginetta aureolata di ogni stropicciato torto.
questa cosa che muore non parla, muove appena le dita in un alfabeto malato, digita su un lenzuolo la sua richiesta di aiuto, su un letto che viene sempre cambiato purché il nostro, dove l’amore è impresso, dove il pianto e il bacio erano sindone di scapole e di sterno in assetto di volo, purché questa garza che ha avvolto i nostri succhi, sia alla meglio, con le nostre stesse mani, lavata.
questa cosa che muore troverà mille espedienti per ingannarmi, per mostrarmi in ogni modo che sta morire, ma non risparmierà mai me dal sapere che con il mio unico coraggio umano, forse pudico, forse impudico, io vivente ti ho chiesto amore con un fiore feriale e come mai, immemore di parole, ti ho custodito.
G. Ungaretti












frammenti   inediti di Maria Allo

la sponda della solitudine
non ha confini netti
spalanca le sue braccia alla notte
come un lampione
scalfisce spigoli dentro
annebbia chiarori lontani
sa di appartenere al mondo
ma è deserto e sabbia
in questo mondo
non basterà fuoco nè acqua
vento e passione
a svelare enigmi a far scorrere
vene respiri gesti silenzi
inchiodati al tuo soffice gelo
meglio lasciare la porta socchiusa
quando l’ombra si soffermerà
non lascerà traccia alcuna
come vento nella notte
svanito all’alba
non farà male
e il silenzio non sarà solo silenzio
*
in ogni fibra di noi
abissi cunicoli scaglie involucri
innervati di umori schiusi
su campi di sterpaglie
spersi silenzi
in ogni fibra
un’assenza di varco
un fiume che non conosce
fermenti di pietà
questo rumore di perdita
possiede mille travestimenti
che negano quel centro
mille fraintendimenti
che vietano un ritorno
ma in questa terra
di antica lingua perforata
a cercare sussurri
tenace e prosciugato
il cuore sotterraneo
anela uno stesso respiro
un’alba una foglia una pietra
un’onda una soglia
vertebre di ali
emergono al più lieve tocco
non trovano parole
ma calde improvvise
straripano
*
non ha nome
nel baluginio di occhi colmi
di distanza
prima dell’alba
l’ombra non ha nome
su raffiche di gelo
oltre il dicibile evoca
cenere di nudi germi
labirinti trafitti di parole
l’ombra si allunga
e in sè si compie
passi vergini sussulti
non parole
bruma di scirocco nella sera
l’ombra non potrà fare a meno
di mondrian
fluttua su lembi di voli inerti
non ha nome
attende il brusio dell’alba
in agonia

*

un vocio attraversa
silenzi intermittenti
canti di cuculi inquieti
frammenti inediti
per un diluvio di vita rappresa
squarci infuriati su plaghe di aforismi
espoliazione di certezze
anche se un sole nasce improvviso
sempre rivoli di nebbia mai conclusa
invadono distanze irriverenti
*
mi nutro di parole inconsistenti
strali al vento senza venature
ma il cerchio non chiude
questo trambusto di pietre
sferraglia l'anima
questo seme di pianto vuoto di parole
non ha nome
geometrico perfetto irrompe
su orme di nostalgia
sordo disserra occhi bendati
non ha nome
inquieto va a minare
plausibili certezze

arriva quando meno te l'aspetti
da deserti abissali e vuoti vaganti
in silenzio con scatti improvvisi
si arresta il pensiero
quello di sempre
ha attraversato sentieri inauditi
paludi immonde labirinti
lidi inesplorati
ma quello che arriva
si inerpica per vie senza nome
non c'è certezza che tenga
arriva quando meno te l'aspetti
emerge al più lieve tocco
un fotogramma si aggira
non sai che nome dare
una realtà che fraintende
il sogno di tutti
non resta che ricomporre
il tutto trattenuto in un bicchiere
ritrovare la connessione
lasciarsi respirare

Un concerto di vita alle cinque del mattino -non ci credereste- flussi ritmati ,sapori di vita si intrecciano e scatenano un sole, una luce che la tenda attenua ,ma riflette su libri,foto, oggetti , improvvisamente nuovi per un istante.Mi torna in mente Janáček e le dicussioni con un giovane; ebbene lui l’aspettava,aspettava la notte per addentrarsi dentro suoni e note che solo la notte può dare, appagata dai bagliori lunari.La luna generosa ,fraterna trasforma gli esseri umani , viluppi e grovigli ,come uno specchio respira odori , i più vili e sa esattamente dove andare a parare.Le cime alberate ,immobili del mattino planano sentieri nascosti tra foglie che sembrano ali , espandendosi si flettono su labbra che albeggiano al divenire.A pensarci, preferisco il mattino ,non costa nulla , non promette, nulla di rilevante cambierà, ma tra i suoi orizzonti si inciampa in una lingua ignota e ogni cosa trabocca di epifania .E’ una sospensione , un fluire ondeggiante il Mattino.Sempre.
Platone dice:“Appartiene infatti all’uomo assennato il ricordare le cose dette nel sogno o nella veglia della natura divinatrice ed entusiastica, il riflettere su di esse,il discernere con il ragionamento tutte le visioni allora contemplate”

c'è che la luna si interra stasera
torna a vangare nodi perduti
niente di strano
domani in una goccia di pioggia
sarà più facile respirarti
del poco che resta non c'è da fidarsi
gramigna germoglia
inchioda tracce su giorni perduti
ombra come ombra in un'altra luce
la solitudine del mare dilaga
avrà una pelle di gelsomino
bagnata da un solo universo di pioggia
velo trasparente smemorato

*
c'è che la luna ha un margine
di appartenenza
inchiodata al labirinto di un cielo
che arde nella memoria

m.a.
Copyright dell'autrice

Maria Allo è nata a Santa Teresa di Riva (ME). Attualmente vive a Riposto (CT). Si è laureata in Lettere Classiche presso l'Università di Messina, è docente di Italiano e Latino in un liceo della provincia di Catania. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni antologiche  e due volumi di poesia. 

I

1 commento:

  1. http://nugae11.wordpress.com/2012/08/06/fr-a-futura-memoria-che-mai-piu-succeda-di-scivolare-nel-fondo-di-una-parola/

    RispondiElimina