martedì 7 agosto 2012

Anne Sexton si racconta


Anne veniva da un passato di “casalinga” dell’alta società che aveva deciso di lasciarsi alle spalle per seguire la propria vocazione

Io, che non sono mai stata davvero sicura
riguardo all’essere una donna, ho avuto bisogno di un’altra
vita, un’altra immagine per ricordar-mi [per ricordare me stessa].
E questa è stata la mia colpa peggiore; tu non potevi curarla
o lenirla. Io ti ho fatta per trovarmi.
da The Double Image in To Bedlam and Part Way Back (Manicomio e parziale ritorno), 196




Spunti di riflessione 


Sessualità e morte, quasi indissolubilmente legate, si intersecano o si scontrano con la religiosità continuamente agognata, e mai raggiunta. Se molti simboli nelle poesie riportano al cattolicesimo (fatto singolare vista la confessione protestante della poetessa), non è possibile ravvisare una vera fede. O meglio, l’autrice avverte un richiamo metafisico, cui però non riesce mai a rispondere, radicata fortemente alla vita terrena.
Vita terrena che è oggetto delle sue poesie senza risparmiarsi nulla (e si pensi alle censure etiche ancora tanto vive negli anni ’60): sensualità ed erotismo senza veli, ma anche violenza e complessi edipici mai risolti, per questa poetessa che non rinuncia mai a mettersi in primo piano, come filtro del mondo ma anche come interprete. D’altra parte, l'imprescindibile presenza dell’io-lirico si spiega anche con le mosse autobiografiche della scrittura che, come ho detto, doveva essere una terapia psicanalitica.

Nel 1997, l’editore milanese Crocetti, da sempre attento alle realtà poetiche mondiali, ha riproposto una selezione dei testi di Anne Sexton (a cura di Rosaria Lo Russo, Antonello Satta Centanin e Edoardo Zuccato), dalla raccolta del ’60 To Bedlam and Part Way Back (In manicomio e parziale ritorno) fino alle opere postume The Awful Rowing Toward God (Il tremendo remare verso Dio) e 45 Mercy Street. Vi si trovano testi di capitale importanza, come il bellissimo e disperato poemetto The Double Image (La doppia immagine), in cui la poetessa costruisce versi di una sconcertante crudezza, servendosi di un efficace sistema iterativo e di immagini che restano – quasi icastiche – impresse sulla retina della fantasia collettiva (e proprio per questo diventa impossibile riproporre qui un breve assaggio). 

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